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MARIO SIRONI

Paesaggio urbano, 1920

Cavallo bianco e molo, 1920-1921

BIOGRAFIA BREVE DI MARIO SIRONI
di Elena Pontiggia

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Nascono in questo periodo, anche dalle suggestioni della realtà cittadina, i suoi classici paesaggi urbani. Si avvicina intanto al fascismo e Marinetti lo ricorda già nell'ottobre 1919 fra coloro che partecipano alle riunioni del Fascio milanese10.
L'adesione al fascismo, che negli anni Trenta esprimerà anche in grandi opere di contenuto ideologico (mai, però, propagandistico) ha condizionato il giudizio sulla pittura di Sironi, molto più di quanto non sia accaduto ad altri artisti11. Tuttavia le numerose indagini sull'argomento non sempre si sono sforzate di capire che cosa sia stato il suo fascismo, come consigliava Pica12.
Per Sironi, come si deduce dai suoi scritti, il fascismo significa essenzialmente due cose. La prima è il sogno di una rinascita dell'Italia, e quindi dell'arte italiana. La seconda, come vedremo meglio, è il desiderio di "andare verso il popolo", per usare l'espressione mussoliniana: dunque, in campo espressivo, il sogno di un'arte destinata non ai salotti, per i facoltosi collezionisti, ma alle piazze e ai muri degli edifici, per tutti. Quando Arturo Martini, nel 1944, diceva che Sironi "credeva di essere fascista, invece era d'animo bolscevico e quasi abissale" voleva appunto sottolineare il senso del fascismo sironiano, che è sempre stato (per dirla con una formula schematica e non priva di equivoci) un fascismo "di sinistra", o comunque a vocazione sociale13.
Ma continuiamo a seguire il suo percorso. Nel gennaio 1920 con Funi, Dudreville e Russolo, Sironi firma il Manifesto futurista. Contro tutti i ritorni in pittura, che nonostante il titolo contiene già molte istanze del futuro Novecento Italiano. In marzo partecipa a una collettiva nella neonata Galleria Arte, dove espone per la prima volta i paesaggi urbani14.
Il ciclo di questi dipinti rappresenta uno dei vertici dell'arte sironiana, ma anche uno dei temi meno compresi dalla critica recente.
Non è inutile, a questo proposito, riprendere la lettura che ne dà la Sarfatti: una lettura che nasce dalla discussione quotidiana con l'artista e in cui Sironi si riconosceva, vista la continuità del sodalizio intellettuale con la scrittrice.
Due sono gli elementi fondamentali che la Sarfatti individua nei paesaggi urbani: la tragicità e quella che chiama, con espressione nietzscheana e dannunziana, la "glorificazione"15. Sulla prima non c'è bisogno di insistere. La tragicità di Sironi è evidente: le sue periferie non conoscono piacevolezze, graziosità, abbellimenti, ma solo un'implacabile volumetria. Sono una metafora dell'esistenza, perché non è la periferia a essere dura, ma la vita. Sironi, però, infonde negli elementi tragici forza e grandiosità. La potente struttura dei suoi palazzi, simili a cattedrali laiche, esprime un'energia costruttiva che contrasta l'asprezza dell'immagine, e che è il segno da un lato della persistenza della materia, dall'altro della ritrovata capacità di costruire la forma. È, anzi, l'emblema stesso del costruire, nel senso più ampio del termine: un costruire sentito come un imperativo categorico, come un compito etico.
Accanto alla pittura, peraltro, Sironi continua a dedicarsi al disegno illustrativo: non bisogna dimenticare che in questo periodo è conosciuto soprattutto come illustratore. Su "Le Industrie Italiane Illustrate", in particolare, nel 1920-21 pubblica in media una tavola alla settimana: un impegno dai ritmi opprimenti, di cui l'artista si lamenta scrivendo alla moglie: "Io lavoro lavoro! Mi trapano il cervello"16. Dall'agosto 1921, inoltre, inizia col "Popolo d'Italia", il quotidiano fondato da Mussolini, una collaborazione che continuerà ininterrotta fino all'ottobre 1942. Frequentissime, in certi periodi addirittura quotidiane, sono nei primi anni venti le sue tavole, che costituiscono una riflessione drammatica e sarcastica sulle vicende politiche del momento. Ricorda lui stesso: "Si lavorava con ardore febbrile. Molte volte lo spunto, o il soggetto, m'era dato dallo stesso Mussolini. Io dovevo consegnare il disegno alle nove del mattino, e spesso a farlo ci voleva tutta la nottata"17.
Sempre nel 1920 Matilde può finalmente raggiungere l'artista a Milano. La coppia si sposta ben presto in via Fratelli Bronzetti 35, in una casa popolare destinata dal Comune agli artisti, ma per alcuni mesi è anche ospite della casa dei Sarfatti a Cavallasca, sul lago di Como. Nel 1921 nasce la prima figlia, Aglae.
Nel dicembre 1922 Sironi fonda, con Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig e Oppi, il Novecento Italiano, animato dalla Sarfatti e sostenitore di una "moderna classicità", cioè di una forma classica, priva di pittoricismi ottocenteschi, filtrata attraverso una sintesi purista18. Il gruppo si presenta per la prima volta alla Galleria Pesaro nel marzo 1923.
Nello stesso 1923 la moglie Matilde si reca a Roma per dirimere una questione ereditaria. Rimane di questo periodo una lettera angosciata dell'artista: "Ti dico vieni vieni e vorrei che sentissi con quanto affetto con quanto desiderio con quale angoscia te lo dico - Quando ti dico che è un incubo un incubo maledetto una orribile malattia - Io non vivo più campo alla meglio tra un sussulto e un altro […] Come sei lontana Matilde! Lontana ed estranea da me!"19. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto da Camesasca20, e poi sempre riportato dalle biografie sironiane, Matilde non si ferma a Roma a insegnare, ma ritorna poco dopo a Milano, continuando a vivere accanto al marito, da cui nel 1929 avrà la seconda figlia, Rossana.

10 F. T. Marinetti, Taccuini 1915-1921, Bologna 1987, p. 446.
11 Terragni, per fare un solo esempio, non era meno fascista di Sironi, come dimostrano i suoi scritti e la stessa Casa del Fascio di Como, ma gli studi sulla sua opera non si sono incentrati in modo preponderante sulle sue convinzioni politiche, come è accaduto per la letteratura sironiana.
12 "Irriducibile sostenitore di Sironi, anche dopo la guerra, Pica ammise con franchezza che Sironi era stato fascista, come lui, che - disse - lo era ancora. 'Ma lei deve capire che cosa è stato il nostro fascismo' ammonì" riporta Emily Braun (Mario Sironi. Arte e politica sotto il fascismo, Torino 2003, p. X). A questo saggio si rimanda per un'analisi complessiva dell'argomento. Ma si veda anche R. De Grada in Sironi, catalogo della mostra, Milano 1973.
13 A. Martini in G. Scarpa, Colloqui con Arturo Martini, Milano 1968, p. 181. Alla testimonianza di Martini si può avvicinare quella della moglie di Sironi, Matilde, che dirà di lui: "Lo si definisca anarchico! Da parte mia lo definirei, sia pure a posteriori, un "comunista" […] Era "mussoliniano", questo sì" (Matilde Sironi, in E. Fabiani, Mario Sironi nei ricordi della moglie, "Gente", n. 7-8, Milano, marzo 1973, p. 68 e p. 71).
14 Dei tre paesaggi urbani esposti, il primo documentato con certezza è Paesaggio urbano con camion, pubblicato da E. Somarè, "Il Mondo", Milano, 4 aprile 1920. (Rimando alla mia scheda dell'opera in E. Pontiggia, C. Gian Ferrari, N. Colombo, Il "Novecento" milanese, catalogo della mostra, Milano 2003, p. 80).
15 M. Sarfatti, La nuova galleria "Arte", "Il Popolo d'Italia", Milano, 3 aprile 1920.
16 Citato da A. Sironi, in A. Sironi, F. Benzi, Sironi illustratore, Roma 1988, p. 40.
17 P. Torriano, Il pittore Mario Sironi, "La Casa Bella", Milano, dicembre 1932, p. 44-45.
18 Per una cronologia della stagione novecentista sironiana: E. Pontiggia, Mario Sironi. Regesto 1919-1931, in Il "Novecento" milanese, cit., pp. 279-290.
19 Scritti..., cit., p. 274.
20 Ibidem.

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